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I racconti

              I racconti

Ricordi che affiorano alla memoria, invenzioni della fantasia imbizzarrita, emozioni che trovano le vesti strette delle parole... racconti!

 

                       AFFACCIA BEDDA

 

Affaccia bedda di ‘stu finistruni

vucca cu vucca ti vurria parlari

mi la chiantasti ‘sta spina ‘nto cori

mi la chiantasti sta spina d’amuri

 

Ogni volta che lo zu Giugiù svoltava il vicolo per immettersi nel corso, l’antica serenata tornava a cantargli nel cervello, ormai grigio per la vecchiaia. Tutta la sua vita era stata un grigiore, privata dei colori più belli della gioventù. E neanche nella vecchiaia, indesiderata quanto la vita, riusciva più a godere della chiare e luminose giornate invernali. L’aspettava la solita panchina della villetta, alla fine del corso principale. Un paio d’ore a guardare i passanti, due chiacchiere se a sedersi accanto era uno dei pochi amici o qualcuno con cui valesse la pena di parlare.

Per lui erano veramente pochi coloro con cui ne valeva la pena. E anche costoro, se gli chiedevano di rievocare i suoi ricordi, diventavano insopportabili e annerivano il suo poco tempo. Si alzava aiutandosi con il bastone e scappava, zoppicando ancor di più. Leggi tutto

 

                 A cianciolo

 

 

Avevo il mare negli occhi, uno spicchio fra le due case di fronte, uno spicchio fra l’isola Lachea  e il faraglione grande. Avevo il mare negli occhi e la tazzina in mano, fumante di caffè. Altro fumo sorpassava la finestra, fumo bianco che saliva dalla casa di Maria e Giovannino.

Mi sono avvicinato al balcone.

-          Non aprire! Questo odore di pesce, di mattina…

Ho sorriso a mia moglie.

-          Sì, però quando Maria sale col piatto, non ti fanno così schifo.

-          Che c’entra! Sono vivi che ancora saltano.

Maria si scusò una delle prime mattine che abitammo quella casa.

-          Me maritu e me figghiu piscanu tutta a notti. Quannu l’avutri si susini, iddi mangianu e si vannu a curcari. (1)

Mia moglie sorrise, sospirò ed emise la sua sentenza antica.

-          Cu sta sutta assuppa l’acqua e cu sta supra aggruppa u fumu. (2)

-          E cchi mi vò fari, u bagnu? (3)

Rise e la risata di Maria mi attirò fuori sul balcone, uscirono anche i suoi uomini. Scoppiammo tutti a ridere. Leggi tutto

 

L’addimuro

 

Tornavo quasi sempre a mani vuote e molto imbronciato. Raramente riuscivo a portarlo a casa e a dare a mia madre quello che le serviva così urgentemente.

Però non capivo. Non capivo perché in quelle rare volte che la zia, la vicina, la mia madrina mi davano l’addimuro da prestare alla mamma, io ero sicuro che la mamma l’aveva già. Ne ero sicuro.

O forse ricordavo male. Ero un bambino di cinque o sei anni ma mi sentivo già grande se la mamma mi faceva fare le commissioni.

-          Frà, vai dalla zia Rosa e fatti dare tanticchia di addimuro. Però dicci ca stavota mi nni serve chiossà.

-          Chiossà?

-          Sì Frà. Chiossà.

Però io me lo ricordavo, me lo ricordavo bene che l’ultima volta mia zia l’addimuro non ce l’aveva. Ma forse la mamma ricordava male. Aveva tanti pensieri, tante cose da fare, tante persone  a cui badare: papà e altri quattro figli. Oltre a me, naturalmente. Leggi tutto

 

QUATTRO A TRE

  

Non è stata Italia - Germania dei mondiali ma pur sempre una partita di calcio, una vittoria ancora più importante.  

Per un manipolo di ragazzini e per me è stata la vittoria più bella, più emozionante, più coinvolgente che un campo di calcio possa esprimere; forse anche la più retorica per chi non sa leggere la gioia dei bambini scritta per un attimo in espressioni indimenticabili.

Quest'anno la categoria esordienti è stata avara: leva scarsa e scarsa per qualità. I dodicenni veramenti portati per lo sport e, in particolare, per il calcio sono stati quattro o cinque, non di più. Ai rimanenti occorreva un'immaginazione notevole per poter sognare quel che tutti, alla loro età, sognano indossando una maglietta con stampigliato un numero e "Del Piero" o "Ronaldo". Anche per me era uno sforzo immaginarli in divisa e schierati in campo. Leggi tutto

LA NOTTE DELL'ASSUNTA

  

Non è più possibile sapere quando accadde. C'è chi dice che fu settanta anni fa, chi dice di più, chi dice di meno. I giovani di Torrealta sorridono scettici quando sentono parlare della notte dell'Assunta. All'incredulità dei ragazzi di oggi, i vecchi borbottano risentiti, perfino offesi quelli che si vantano di aver conosciuto Luigino.

Luigino viveva fuori le mura di Torrealta. Viveva in campagna fra gli ultimi pascoli ancora da assegnare a coltura e fra campi di grano e orti; in una di quelle case coloniali fatte dal governo, uguali dalle Alpi alle coste del mare africano.

La mattina di ogni mattina Luigino andava a scuola. Anche quando la pioggia inondava i sentieri e non tutte le pozzanghere potevano essere saltate, non dava ascolto alla mamma che lo avrebbe voluto a casa o nella stalla o alle stie a badare alle galline e ai conigli. Correva, tutto imbacuccato nella cerata gialla, lo stesso a scuola. Non perché non gli piacesse la campagna. Era felice di starci e non voleva mangiare la carne degli animaletti che accudiva. A Luigino piaceva la scuola: per la maestra, per i compagni. Gli piaceva perché poteva ascoltare e parlare. Le storie, la vita, la parola avevano per Luigino un fascino ammaliante, irrinunciabile. A casa, in campagna, non era la stessa cosa. Aveva imparato ad ascoltare il vento e  lo stormire degli alberi,  diverso per ogni frutto che gli davano. Aveva imparato a dar orecchio ai grilli o alle ranocchie ma non avevano la seduzione della parola. Aveva quella scritta dei due libri di scuola, il sussidiario e l'antologia ma non avevano nient'altro da narrargli già prima di ogni Natale. Leggi tutto

GIORNALISTI !

 

Neanche il fresco sibilante dai condizionatori fermò il ribollimento che gli infiammò le guance e arrossò gli occhi.

-          Fammi parlare col direttore.

-          Sono io il direttore.

-          Quello vero!

-          Faccio finta di non sentire.

-          Forza!

-          Il dottore è irreperibile; avrà il diritto di farsi in pace le sue ferie. E il direttore sono io e decido io: il tuo pezzo non sarà pubblicato. E basta!

-          Vaffanculo tu e il giornale.

Rinaldi, responsabile della cronaca locale, sbatté la porta e uscì definitivamente.

Piazza Barberini era un crogiuolo di razze di turisti, di romani ansanti, di vigili sfaccendati; solo il traffico, a Roma ad agosto, era sopportabile. Il tritone, nel centro a soffiar note d'acqua, raccoglieva a raduno accaldate membra in ammollo. Rinaldi immerse il fazzoletto nella fontana e lo poggiò, ordinatamente piegato in triplice, alla fronte a calmare il bollore nato al fresco per l'insulsa ostinatezza del suo capo. Leggi tutto

DUE

 

 

- Dove cazzo vanno ancora? E' da due ore che girano.

Guardo nello specchietto retrovisore. Metto la freccia e sterzo decisamente a sinistra, contemporaneamente. Cerco di saltare qualche rara macchina frapposta dietro la Tipo di Anna. Li ho già persi una volta. Li ho aspettati dieci minuti davanti allo sfasciacarrozze. Veramente dietro. Hanno scambiato la Punto, quasi nuova, per quel rottame. Un baratto informale. A quest'ora sarà già smontata pezzo pezzo. Giulio mi ha fatto cenno, anche Anna. Ho aspettato alcuni minuti. Nessuno. Ho aspettato ancora. Nessuno. In marcia. Li ho ripresi prima della sterrata. Anna è scesa. Io ho fumato una sigaretta. Anche Giulio dopo un po’ è sceso. Ha fatto pochi passi. "Sta calmo, Giulio. Eccola! Con la valigia. Tutto è a posto. Nessuno. Dai, andate! Ci sono io".

- E ma adesso che stanno facendo? Perché?

Controllo tutti gli specchi. Adesso non c'è proprio nessuno, nessun'altra macchina nella notte. Ci siamo solo noi.

- Vi vedo, vi vedo.

Lampeggio con gli abbaglianti. Le luci rosse della Tipo rinforzano due volte, senza che l'auto rallenti. Leggi tutto

Lolì

 

Sì, signor giudice. Vorrei. Lo voglio. Non per difendermi, non c’è nulla da cui difendermi se non da questa legge giusta. Da questa legge giusta che può farle commettere un’ingiustizia. Perché io sono colpevole, lo sono. Sì, signor giudice. Vorrei. Lo voglio perché questa legge è giusta. Lo voglio dire che sono colpevole, per la legge. Per questa legge, ma non lo sono di fronte agli uomini. E se questa ingiustizia legale deve compiersi, deve….. che non la compiano gli uomini, non la compiano gli uomini a cui grido: io amo Lolì. E grido ancora: Lolì mi ama. Continuerò ad amarla come Lolì lo continuerà….. e anche dopo. Finchè amore lo vorrà….. o la vita. La vita che in Lolì si specchia, la vita che ha il volto di Lolì.

Occhi come il mare….. che cambia d’intensità con l’intensità delle velature nuvolose al cielo, che cambia d’intensità con l’intensità del vento che increspa l’onde e macchia di spuma i toni celesti.

Guance di pesca di montagna. Pesca di montagna pallida….. eppur con tutte le sfumature carnose che non sono mai rosee …. Ma di tutti i colori della pelle, di ogni pelle somigliante. Leggi tutto

RICORDO DA AMARE

 

 

            Non so se esiste. Non so più se sia mai esistita. Il ricordo permane sfocato, in bilico fra una visione onirica e un passato ai primordi della memoria dintorno ai sei o sette anni.

            Resta ancora netta l’immagine di quel visino, ancora dopo più di trent’anni. Un viso magrissimo occupato da occhi grandi, grandissimi e neri come il carbone. Come il carbone mi sembrò che spruzzassero scintille ad ogni battere di ciglia. Ciglia lunghe, come lunghi erano i suoi crespi capelli abbracciati ai lobi, a incorniciare le guance purpuree e vellutate come pesca.

            Eravamo, ma non ne sono più sicuro, in una casa di campagna, in uno spiazzo adombrato dai pampini grandi e fitti, pergolato di due alti tralci. Leggi tutto

POMODORI SECCHI SOTT’OLIO

 

 

“Non sei veramente fregato fin quando avrai una buona storia da raccontare”. Non ricordo se l’ho letto prima in un libro o l’ho sentito recitare al cinema. Sì, se sei uno scrittore famoso! Se sei uno scrittore famoso puoi anche non averla la storia da raccontare. Puoi  pubblicare qualunque cosa scrivi… E se non ti viene di scrivere niente puoi sempre aprire una scuola di scrittura e continuare a far soldi, in attesa che passi il blocco dello scrittore. Il blocco dello scrittore! Che cos’è? Non lo conosco. Il blocco dell’editore sì, lo conosco. E’ quello che ti rifiuta il dattiloscritto, che lo tiene nel cassetto per anni, che ti risponde che è in lettura. E’ quello che ti pubblica, grazie al contributo col quale potresti stamparti tutta la tiratura per conto tuo, ma non ti dice che fine fanno i libri. Li cerchi in ogni libreria e la commessa ti dice con espressione allibita:

-          Se vuole glielo posso ordinare…

E che ordini se ne hai in casa un centinaio ancora imballati?

A me fa ridere, il blocco dello scrittore. Potrei scrivere per anni e anni e avere sempre di che raccontare. Senza sforzarmi di fantasia, di inventare. Mi basta dare un’occhiata indietro, al mio passato. O immaginare il futuro che non ho avuto. Potrei scrivere per chilometri di carta, su rotoli di carta, su bobine di carta. Potrei scrivere su qualsiasi argomento, qualsiasi fatto e su qualsiasi oggetto. Ed essere originale, unico. Essere io.

Voglio scrivere sul treno? Non viaggiando, argomento treno. Un’avventura in treno. Facile! Potrei scriverci un romanzo di cinquecento pagine senza annoiare. Potrei scrivere la versione italiana di ‘Pomodori verdi fritti’. Solo che non avrebbe senso. Non ha senso friggere i pomodori. Leggi tutto

Legittima difesa.

 

“Piove! Ancora! Piove da una settimana, maledizione. Sì, ogni tanto smette; ma per poco. E ricomincia”. Carmelo aziona il tergicristallo commutandolo da intermittente a fisso alla prima velocità; accende anche i faretti antinebbia. “Sicilia: un’estate lunga sei mesi”. Pensa allo slogan e alle vacanze pasquali saltate. “Laggiù l’estate è già cominciata” “Ma i ragazzi devono andare a Praga! Vuoi negare a Deborah e Calogero (Calogero, perché mai ti ho ceduto, Calogero come il nonno) l’esperienza della famosa primavera di Praga?”. Carmelo scuote la testa. “E basta con questa Sicilia, tanto non ci saremmo andati lo stesso. Io non ci sarei venuta neanche morta”. Primavera di Praga per Alice corrisponde ad un equinozio esotico; neanche a una canzone… Sorride Carmelo e canticchia e pensa ad Augusto. “Senza di lui i Nomadi non saranno mai la stessa cosa”. Considera Augusto un amico defunto, come Ayrton; pianse quel giorno davanti alla tv. “Lunga e dritta correva la strada, l’auto veloce correva…Se lo farò, lo farò così”. Fa il calcolo delle assicurazioni e considera soddisfacente la contropartita pro eredi in caso di incidente automobilistico. Così può farlo senza complessi di colpa nei confronti dei figli. leggi tutto

I racconti presenti in questa pagina

Affaccia bedda

A cianciolo

L'addimuru

Quattro a tre

La notte dell'Assunta

Giornalisti!

Due

Lolì

Ricordo d'amare

Pomodori secchi sott'olio

Legittima difesa